- Dalla pagina sui Can di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)
In breve:
Più di ogni altra band, i Can, formati a Colonia da due musicisti di formazione classica, il bassista Holger Czukay e il pianista Irmin Schmidt (entrambi ex allievi di Karlheinz Stockhausen), e dal batterista free jazz dei Globe Unity, Jaki Liebezeit, hanno trasformato il progressive rock in una scienza. Unendo musica elettronica, jazz e rock, i Can hanno realizzato il primo studio organico su ritmo e texture. Le loro jam strumentali, ipnotiche e glaciali, si muovevano a cavallo tra free jazz, acid rock e musica da camera. Pur ricercando un erudito divertissement tra la musica aleatoria di Cage e la musica atonale di Schoenberg, sperimentando le potenzialità degli strumenti manipolati elettronicamente, prediligendo strutture sommesse, frammentate e sciolte e atmosfere sinistre e minacciose, i Can sono diventati maestri di una nuova forma di musica elettroacustica. All'interno della scuola tedesca degli anni '70, i Can erano gli asceti. Dopo Monster Movie (1969), un caleidoscopio in gran parte improvvisato ed esuberante di musica psichedelica ispirata ai Pink Floyd e ai Velvet Underground, i Can entrarono nella mischia labirintica della musica d'avanguardia con il loro monumentale Tago Mago (1971), un'opera accecata dal misticismo orientale e immersa in una giungla di tecniche di collage ed effetti sonori (il concerto dissonante demoniaco di Halleluwah, il capriccio onirico di Aumgn). Dopo il cupo Ege Bamyasi (1972), che precede i toni languidi e sconsolati del post-rock e del trip-hop, i Can assestarono un altro colpo alle regole dell'armonia con Future Days (1973), la loro opera più psicologica. Partiture strumentali come Bel Air sono reticoli di suoni densi, amorfi e amebici, l'equivalente musicale degli affreschi di Monet, che metabolizzano jazz, funk, rock, musica indiana e dissonanza.
Bio:
I Can furono il complesso tedesco che più di tutti trasformò il
progressive-rock in una scienza. Facendo da ponte fra la musica classica,
la musica jazz e la musica rock del loro tempo, i Can compirono uno dei primi
studi organici sul ritmo e sulla texture. Le loro ipnotiche e glaciali jam
strumentali erano un incrocio fra jam di free-jazz, suite di acid-rock e
musica da camera.
Perseguendo un colto divertissement di alea e atonalità, studiando e sperimentando rigorosamente le possibilità fonetiche della strumentazione trattata elettronicamente, prediligendo i brani sommessi, frammentati, ritualistici, e le atmosfere acide e occulte, assursero a maestri indiscussi, anche se sovente accademici, dell'elettro-acustica. Nel panorama tedesco, popolato di cosmici e apocalittici, figuravano un po' come gli asceti della scena.
I Can si formarono a Cologne per iniziativa di due musicisti di formazione classica, entrambi allievi del compositore Karlheinz Stockhausen: Holger Czukay, bassista trentenne e sound engineer, appassionato di minimalismo e di musica etnica, e Irmin Schmidt, pianista 31enne avviato all'attività concertistica. Insieme a Jaki Liebezeit, 30enne batterista jazz della Globe Unity, al chitarrista Michael Karoli (appena 19enne, studente di Czukay) e a Malcom Mooney, pittore e scultore americano di colore che si improvvisa anche cantante, composero dei collettivi più preparati di tutti i tempi. Fu Mooney a coniare il nome Can, che rimpiazzò quello originale di Inner Space Productions.
Agilok & Blubbo (Wah Wah, 2009) and Kamasutra - Vollendung Der Kiebe (Crippled Dick Hot Wax, 2009) document the 1968 recording by Inner Space (Irmin Schmidt, Holger Czukay and Jaki Liebezeit).
La prima registrazione dei Can avviene nel giugno 1968, quando il complesso si
esibisce a una mostra d'arte moderna. Vedrà la luce su
Prehistoric Future (Tago Mago, 1984).
I Can, non potendo permettersi di affittare uno studio professionale,
si insediano in un castello abbandonato e lì registrano i brani che
dovrebbero comporre il primo album, Prepared To Meet Thy Pnoom, ma
che invece non verranno pubblicati che postumi su
Delay 1968 (Spoon, 1981) insieme agli scarti del primo album ufficiale.
Il titolo è scorretto perche' gran parte del materiale venne registrato
nel 1969 (Butterfly, Nineteen Century Man,
Little Star of Bethleham hanno spunti interessanti, ma in generale
il materiale è ancora mediocre, influenzato dal blues-rock psichedelico
dell'epoca).
Il primo singolo del gruppo,
Kama Sutra (Metronome, 1968), è accreditato soltanto a Schmidt.
Il primo album, Monster Movie (Music Factory, 1969 - Mute, 2004), in gran parte improvvisato in studio, è un caleidoscopio naif ed esuberante di musica psichedelica, che prende le mosse dai capolavori dei primi Pink Floyd e soprattutto dei Velvet Underground. Svettano soprattutto il sabba vertiginoso di Father Cannot Yell, che è la loro piccola Sister Ray (ritmo boogie, chitarre da garage-rock, declamazione alla Jim Morrison, distorsione da capogiro), e Yoo Doo Right, venti minuti di improvvisazione caotica alla chitarra, di lamenti blues e di percussionismo tribale. Ma gli altri due brani (Mary Mary So Contrary, un'imbarazzante ballata classicheggiante alla Beatles, e Outside My Door, una pallida imitazione dei Thirteenth Floor Elevator) tradivano idee ancora farraginose.
Soundtracks (Liberty, 1970 - Mute, 2004) è un'opera di transizione, che raccoglie
pezzi per il cinema e il teatro. Vi figurano comunque un'altra grottesca
danza tribale (Soul Desert) e un'altra orgia "acida"
(Mother Sky).
Le altre canzoni, anche quando sono ben confezionate
(She Brings The Rain, Tango Whiskyman,
Don't Turn the Light On) non sono molto diverse dalla media del
progressive-rock dell'epoca.
Il cantante-samurai Kenji “Damo” Suzuki, reclutato durante un concerto a
Monaco, compare per la prima volta in alcune canzoni di questo disco.
Malcom Mooney abbandona il complesso e gli subentra definitivamente Suzuki,
vocalist giapponese intenso ed emotivo, singolare connubio di salmodia mantrica
e recitazione noh.
Il monumentale Tago Mago (UA, 1971 - Mute, 2004), pervaso di
sovratoni mistici, incorpora tecniche d'avanguardia (in particolare collage e
sound effects) nelle strutture della musica rock. Paperhouse apre
l'album con un blues agonizzante, ma alla prima occasione la chitarra intona un
salmo cosmico su batteria tribale, e poi, tormentata da sussurri sinistri,
libera un mulinello simile a un raga di note metalliche stimprellate a tutta
velocità. Lo psicodramma di Sukuzi in Mushroom è ambientato in
un'atmosfera rarefatta di percussioni vivaci, basso rombante e chitarra
atonale, un ghirigoro di freddo dub-jazz per circoli alieni. La voce di Suzuki
è ancora protagonista in Oh Yeah, solo che qui il contesto è esattamente
opposto, con un incessante galoppo sincopato a riempire il vuoto, e un
incostante crescendo di dissonanze e chitarra blues.
Peking O, di undici minuti, irrompe come un altro veicolo per i
disturbi psicologici di Suzuki ma invece muta in un saggio dadaistico su come
decostruire la musica da ballo: un ritmo brasiliano che implode in un
supersonico trivellante battito industriale sullo sfondo di un piano jazz
sbilenco. Questa musica illogica sbocca in un'orgia di droni casuali, canto
teatrale e batteria metronomica.
Il finale, Bring Me Coffee Or Tea, sostanzialmente un canto hare-krishna
delirante per libero quintetto rock, ha la pretesa di allacciare l'album al
pallino contemporaneo della psichedelia orientaleggiante.
I due elevatissimi capolavori dell'album sono i due brani più estesi.
Halleluwah, di 18 minuti, crea un baccanale ritmico à la Amon Duul II
a un livello completamente diverso, con una torrida musica funk raschiata dal
canto da giungla di Suzuki. Lentamente la componente africana del ritmo prende
il sopravvento e distrugge tutto il resto. Dopo cinque minuti il pezzo
ricomincia in forma puramente strumentale con un nuovo pattern funky e con una
chitarra petulante a guidare un'improvvisazione jazzata interrotta
ripetutamente attraverso un'altra dinamica ritmica irregolare.
Aumgn, di 17 minuti, parte in lande psichedeliche, ma presto il suono
decolla verso orbite lontane e il brano inizia a disintegrarsi in musica
concreta e rumore dadaistico. Quando la voce emerge, è solo un canto mantrico
distorto, che va a mescolarsi ad un fluido amalgama di note libere. Gli strumenti
percussivi inizialmente vengono impiegati non per seguire questo flusso ma per
aggiungere colori e sfumature in un processo di tinteggiatura del suono. Verso
la fine, tuttavia, sono le percussioni a creare la tensione drammatica che
mancava, prendendo il posto della melodia nel guidare la musica verso un
epilogo narrativo ed emotivo.
Nonostante la chitarra elettrica, la batteria e la voce, gran parte
dell'album è musica jazz e avanguardia. La connessione con la musica degli anni '60 è limitata alla strumentazione. Con solo un album, i Can hanno aperto la
strada a diversi generi che sarebbero diventati popolari negli anni '90:
musica industriale, noise-rock, trip-hop e post-rock.
L'album successivo, Ege Bamyasi (1972 - Mute, 2004),
è una raccolta cupa e opprimente
di brani concisi, gag di cacofonie elettroniche come Soup o raga
nevrotici come Spoon (una delle prime canzoni a impiegare una
"drum machine").
Con questo disco i Can sembrano però dirigere verso una forma degradata
dell'easy-listening languido e funk dell'epoca
(Vitamin C, Sing Swan Song).
Con questo album i Can riconoscono (acknowledge) finalmente gli esperimenti
elettronici del resto del rock tedesco.
Impostato il sound in maniera più professionale (e abbandonate le spigolosità
giovanili), il complesso toccò un altro apice creativo su
Future Days (1973 - Spoon, 2005).
Con quest'album il sound dei Can cambia però radicalmente, finendo quasi per
inventare un nuovo genere di musica psicologica.
I passaggi strumentali sono talvolta amorfi ma coerenti, come affreschi
di Monet o documentari di amebe.
Lo strumentale Spray fagocita tutto d'un fiato jazz, funk, tribalismo,
boogie e piccole dissonanze, e l'effetto è gelidamente impermeabile, come se
le suite di Iron Butterfly o Colosseum o Traffic fossero state sottoposte
a un processo di rarefazione, fino a librarsi in un salmo indianeggiante.
Bel Air, l'opus magnum della seconda facciata,
tesse un'armonia densa e caotica (gorgheggi primitivisti, tastiere che
intonano melodie orientali, percussioni febbrili, elettronica demoniaca)
che si sfilaccia poco a poco ma senza mai perdere identità. Dopo un intermezzo
bucolico che campiona suoni della natura, la suite riparte con un tono più
mistico e si lancia in una jam a ritmo boogie che ricorda i Grateful Dead
o gli Allman Brothers dell'epoca, ma intrecciati a una chitarra da "dervish".
La propulsione della batteria fa decollare di nuovo il brano, mentre la chitarra
delira (ormai nei territori jazz di John McLaughlin) e l'elettronica incalza
sempre più solenne.
Non tutto splende:
la title-track è un mosaico di recitatione casual e di effetti di riverbero
al ritmo di percussioni africane, e
Moonshake è una canzone atmosferica di pop pseudo-brasiliano con un
ritmo "motorik", altro sintomo della loro morbosa attrazione per la lounge
music. Ma l'insieme è comunque imponente.
La raffinatezza dei brani è quasi fastidiosa: ogni suono è calcolato,
l'esecuzione è metodica, la produzione certosina. Karoli, abbandonate
da tempo le scale modali dell'acid rock, disegna figure preziose e cristalline,
debitrici del funk, e Schmidt colora in modo originale le sue improvvisazioni,
attingendo da jazz-rock ed elettronica in egual misura.
Schmidt è un tastierista tanto gelido quanto preciso,
una sorta di chirurgo del sound.
Liebezeit si dimostra uno dei massimi batteristi della sua era, forse l'unico
nell'intera storia del rock che sia difficile da distinguere da una
macchina.
Doko E contains unreleased recordings from the same sessions of Future Days.
Suzuki, sposata una testimone di Jehovah, lascia il complesso, che si riduce
così a un quartetto (Czukay, Schmidt, Liebezeit, Karoli).
Soon Over Babaluma (1974), la loro opera più minimalista,
contiene l'ipnosi surreale di Dizzy Dizzy
(con il violino in primo piano e un ritmo quasi reggae, quasi una parodia della
Penguin Cafè Orchestra)
e un'anticipazione dell'ambient techno, Quantum Physics
(frequenze aliene in libertà, percussioni che petulano come le tabla indiane,
colpi di triangolo che echeggiano a lungo, battiti soffocati di batteria,
e un finale in cui il sound viene risucchiato in un buco nero alla Klaus
Schulze).
Gli altri brani, per quanto nati da idee suggestive, sono incerti.
Splash si lancia in un salsa frenetico a cui è sovrapposto una jam
di free-jazz (chitarra, basso, sassofono) e un drone di violini.
Un febbrile ritmo caraibico è alla base anche di Chain Reaction,
sul quale si libra un altro assolo logorroico di chitarra (verso la fine
sembra di sentire il blues dei Doors del periodo della crisi).
Un'ignobile Come Sta La Luna comincia a testimoniare la perdita
di lucidità del gruppo.
Ma è soprattutto il canto il punto debole del disco, che infatti tenta di
"cantare" il meno possibile.
Landed (Virgin, 1975) fu il loro album più professionale dal punto di
vista della produzione. Nonostante alcuni brani di classe
(lo strumentale di 13 minuti Unfinished, Red Hot Indians), rimane un lavoro minore.
Flow Motion (Harvest, 1976) denota l'influenza delle tecniche di
produzione del reggae e annovera il loro unico hit, I Want More.
Saw Delight (Harvest, 1977) contiene la world-music in forma di collage
di Animal Waves e un'influenza ancor più vistosa della musica reggae.
Czukay, Schmidt, Liebezeit, Karoli e il cantante originale Mooney torneranno con l'album Rite Time (Mercury, 1989) ai fasti del loro teutonico misto di jazz-rock (Below This Level), blues (Movin' Right Along), elettronica (Like A New Child) e funk (Without Law Man), lasciando in In the Distance Lies the Future il loro testamento spirituale.
Cannibalism (Spoon, 1984) è un doppio album antologico del periodo 1969-74. Sarà seguito da Cannibalism No. 2 (Spoon, 1992) e da Cannibalism No. 3 (Spoon, 1994), dedicata alle opere soliste dei membri.
Limited Edition (UA, 1973) contiene inediti
dei Can, ed altri saranno raccolti su Unlimited Edition (Harvest,
1976). Dell performances live saranno riprese su Can Box (1999).
Radio Waves (Sonic Platten, 1997) contiene rarità, fra le
quali spuntano i 35 minuti di Up The Bakerloo Line With Anne.
Liebezeit, Karoli e Schmidt sono gli unici membri della formazione originale su Out Of Reach (Spoon, 1978). Inner Space (Laser, 1979), noto anche come Can, che contiene due pezzi di otto minuti, All Gates Open e Safe, più vicini allo stile degli ultimi Tangerine Dream che a quello dei primi Can, e poco altro degno di menzione.
Al di fuori dei Can e dei loro dischi, Holger Czukay è stato il più attivo tra i membri fondatori. Jaki Liebezeit formò i Phantomband, con cui realizzò Phantomband (Sky, 1980), Freedom Speech (Sky, 1981) e Nowhere (Spoon, 1984) Irmin Schmidt ha pubblicato alcuni lavori solisti, tra i quali cito: Toy Planet (Spoon, 1981), Musk At Dusk (Spoon, 1987), Impossible Holidays (Spoon, 1991), l'opera Gormenghast (Spoon, 1999), Masters Of Confusion (Spoon, 2001), una collaborazione con l'artista drum'n'bass Kumo, e diversi volumi di Filmmusik, a iniziare dal 1980 e sintetizzati su Soundtracks (Spoon, 1994).
Damo Suzuki formò i Network nel 1987, radunando Jaki Liebezeit,
il batterista dei Guru Guru Mani Neumeier, il tastierista Matthias Keul
e un chitarrista. Il box-set di 7 CD Promise (Network, 1999) colleziona
le performaces live del gruppo, per lo più improvvisazioni di epica
lunghezza, registrate tra il 1987 e il 1990. Vernissage (Network,
1998) è un live del 1990 della stessa foromazione. Tokyo On Air
West 30 April (1997) e Tokyo On Air West 2 May (1997) documentano
un tour giapponese insieme a Karoli, Keul, Neumeier e Mandjau Fati al basso.
Seattle (Inner Space, 1999) è un live del 1998, nel quale
appare ancora Karoli.
Odyssey (Network, 2000) non comprende nessun
membro originale dei Can.
Karoli è morto nel novembre del 2001, all'età di 53 anni.
Il doppio disco Abhayamudra (Strange Attractors, 2004) raccoglie alcune sessioni improvvisate dal vivo tra i Cul De Sac e il cantante dei Can, Damo Suzuki.
The Lost Tapes (Mute, 2012) è un cofanetto di inediti in studio, colonne sonore e materiale live. L'unico pezzo che vale il prezzo dell'album sono i dodici minuti psichedelici di Dead Pigeon Suite.
Jaki Liebezeit è morto nel 2017, all'età di 78 anni.
Nello stesso anno è morto anche Czukay, all'età di 79 anni.
Damo Suzuki è morto nel 2023, all'età di 74 anni.
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