- Dalla pagina sui Suicide di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)


(Tradotto da Stefano Iardella)

In breve:
Lo spirito della "generazione vuota" si impadronì di Manhattan quando i Suicide iniziarono a raccontare le loro storie di nevrosi insopportabile. L'archetipo del duo composto da tastierista (Martin Rev) e cantante (Alan Vega), reinventò la formazione della rock band, con le tastiere elettroniche a sostituire la sezione ritmica e lo strumento solista. Suicide (1977), una delle pietre miliari della new wave, innestò le infinite modulazioni del minimalismo su un ritmo rockabilly febbrile, coniando così il termine "psychobilly". La voce moribonda di Vega inseguiva fantasmi attraverso un'angoscia urbana che era strettamente imparentata con quella dei Velvet Underground. I Suicide cantavano dell'apocalisse individuale e collettiva, raffigurando anime solitarie e doloranti in un paesaggio gotico traboccante di paura, paranoia e claustrofobia. Le pause, i riverberi, i toni monotoni, l'elettronica gelida erano tutti funzionali a cupe visioni del futuro. Alan Vega Martin Rev (1980) usò gli stessi elementi per inventare ballate cibernetiche per le discoteche. Lo sciamano elettronico Alan Vega continuò il programma futuristico e decadente dei Suicide in album come Alan Vega (1980) e Collision Drive (1982) che offrono un'angoscia cadaverica a un ritmo infernale. Cantando con la sua voce tremolante, che ricorda un Lou Reed privo di emozioni, su una cadenza robotica rockabilly, Vega mise in scena un formidabile assalto allo stereotipo del rocker.


(Testo originale in italiano di Piero Scaruffi, modificato da Stefano Iardella)

Bio:
I Suicide vennero alla ribalta a New York durante gli anni caldi della new wave. Il loro sound riusciva a innestare le modulazioni infinite dei minimalisti su una solida base rockabilly. Il canto spettrale pennellava poi un'angoscia metropolitana che era parente stretta di quella dei Velvet Underground.
I Suicide erano un duo composto dal rocker maledetto Alan Vega, che impersonava la tradizione selvaggia del rockabilly rurale, e dal tastierista allucinato Martin Rev, che impersonava la rivoluzione intellettuale della new wave urbana (in realtà Vega era uno scultore di luci e Rev suonava free jazz).
Esordirono nel 1971, eseguendo blues apocalittici nelle Gallerie d'Arte di Manhattan, e poco a poco si lasciarono contaminare dal clima di auto-distruzione che regnava nell'intellighenzia di Soho.

Suicide (Red Star, 1977), riedito con inediti nel 1981, è l'album della rivelazione, e una delle pietre miliari della new wave.
I loro brani sono deliri di suicidi volontari nei labirinti metropolitani, sono esercizi di auto-flagellazione che raggiungono un pathos paranoico attraverso una monolitica catalessi esistenziale. L'esiguo ma martellante tessuto sonoro è trafitto all'improvviso da urla disperate di uomini fantasmi che sorgono da un nulla amorfo e si avvinghiano alle pareti infinite dei grattacieli, gemiti agghiaccianti che si propagano attraverso effetti d'eco, evocando stati allucinati e preannunciando, bisbigli nelle catacombe, la morte dell'umanita`. La loro opera è un lamento che procede ad impulsi nei silenzi glaciali delle grandi arterie del traffico cittadino: la tenera, maestosa, commovente litania di Cherie, un intreccio di frasi melodiche ossessive e di tintinni delicati, il tribalismo cosmico di Rocket USA, il sincopato maciullante di Ghost Rider, il rockabilly psicotico di Johnny, i gemiti lascivi di Girl, l'incubo industriale di I Remember, l'angosciato funereo requiem di Che. Il canto cadaverico di Vega, fatto anche di lunghi silenzi, di ansimi, di riverberi, e le gelide pulsazioni di Rev si complementano a vicenda producendo atmosfere d'intensita` quasi religiosa. Conteso fra storie "fatali" e arringhe politiche, il loro canzoniere non concede tregua alla condizione umana.
Frankie Teardrop è l'incubo per eccellenza, sorta di Sister Ray del duemila, vertigine di ritmo indemoniato a picco nella coscienza atrofizzata del sottoproletariato metropolitano, una luminosa e maniacale proiezione dell'ego su uno schermo buio, una sequenza di suoni che passa dai rumori "concreti" del traffico al tornado di echi e cacofonie del finale, una carica di tritolo detonata al ralenti. La recitazione-suspence di Vega, quasi casual eppure tesa e fremente, fra pause infinite, i rumori del traffico sparsi a casaccio, le urla sconnesse e la sequenza finale di echi e cacofonie, lo rende ancor più raccapricciante.
E' uno dei brani più cupi ed angosciosi dell'intera storia del rock.
I Suicide rappresentano un atteggiamento tipico dei salotti intellettuali di Manhattan al volgere del decennio, quell'andare alla deriva in vortici di emozioni represse, di fitte dolorose nascoste sotto un'apparente imperturbabilita`.
Il gruppo impose, prima dei Devo, il modo "devoluto" di interpretare generi "standard", come appunto il rock and roll, tutto in sordina con l'incedere meccanico pneumatico e con la tensione innaturale di un horror-show.

Il singolo Dream Baby Dream/ Radiation (Ze, 1979) diede la misura della metamorfosi in corso, dalla nevrosi catastrofica alla ballata cibernetica, che si completo` sul secondo album.
A partire da Alan Vega Martin Rev (Ze, 1980 - Restless, 1990) il sound declina sul fronte dell'elettro-rock discotecaro: nenie trascendenti (Touch Me), tribalismi (Mr Ray) danze industriali (Dance) sfruttano cinicamente i ritmi metronomici, le tastiere stranianti di Rev e il canto riverberato di Vega per tramutarsi in canzonette (Sweatheart) e disco music (Diamonds, Shadazz).
Su tutto si staglia l'urbanesimo disperato di Harlem, ultimo grande melodramma elettronico del duo, immerso in un'atmosfera selvaggia ed apocalittica che il canto conversazionale di Vega e i ritmi infernali di Rev sventrano in un crescendo di suspence.

Per il recupero della sperimentazione elettronica teautonica, per la poetica della disumanizzazione e per la formula del duo di canto ed elettronica, i Suicide si possono considerare antesignani di diverse tendenze della new new wave a venire.

Nello stesso anno viene pubblicato il primo disco, per sole tastiere, di Martin Rev (Infidelity, 1980), riedito come Marvel (Daft, 1996) con inediti.
Tutti i brani sono eseguiti all'insegna della ripetitività fluttuante dei minimalisti e si avvalgono del ritmo sintetizzato tipico dei Suicide, ma il sound trascendente di Mari, l'esotismo lussureggiante di Baby O Baby, la musica concreta di 1986 per campane ed effetti vari, sono pallidi riflessi della nevrosi urbana di un tempo. Gli spunti più originali si trovano nella disco music mantrica di Temptations, nella musica cosmico-industriale di Jomo e nel rockabilly cacofonico di Asia fra vortici elettronici e ritmi metallurgici.
Ancor più ambigue saranno le ballate atmosferiche di Clouds Of Glory (New Rose, 1985).

Lo sciamano elettronico Alan Vega ha, di fatto, continuato da solo l'elettro-rockabilly di consumo arrangiato in maniera spettrale dei Suicide.
Il primo hit fu Jukebox Baby, tratto da Alan Vega (Ze, 1980), con la caratteristica scansione gelida e singhiozzante del canto, con la robotica e febbricitante cadenza rockabilly, con i toni metallici della chitarra, lievemente riverberati quasi come nel reggae. Questo sarebbe rimasto il suo stile. Vega, come tutti gli "autori" che si rispettino, ha un suo linguaggio espressivo, che plasma di volta in volta a contenuti diversi. E il suo linguaggio rimarra` questo rockabilly futurista e decadente.
Sullo stesso album le interpretazioni smaliziate e gli arrangiamenti surreali di altri due rockabilly, Kung Foo Cowboy e Fireball, nonchè il bluegrass epilettico di Speedway (praticamente un'anteprima dei Gun Club), coronano la sua ricerca di una voce personale. Vega è un cantautore come Bob Dylan e Neil Young, ma ha bisogno di affidare le sue storie maledette alla nevrastenia del ritmo.
Il lugubre rhythm and blues di Love Cry, a passo di funerale, con il pianoforte e la chitarra che emettono accordi disadorni, e soprattutto il monumentale, terrificante blues di piantagione di Bye Bye Bayou, a ritmo di locomotiva, esaltano il fascino maliardo e pessimista del suo personale revival in chiave futurista.
Il programma di Vega è la naturale continuazione del progetto Suicide, senza il sottofondo apocalittico dell'elettronica di Rev, ma con la stessa enfasi de-umanizzante e lo stesso genio malato per de-costruire il rock and roll.

Collision Drive (Celluloid, 1982) comincia con un altro classico del suo rockabilly demoniaco, Magdalena 82, un nuovo spaccato di angoscia cadaverica a ritmo infernale. Raver, Rebel Rocker e soprattutto l'heavy metal "sudista" di Outlaw, in chiave ZZ Top, danno seguito al suo programma di base.
La sua voce, di vaga ascendenza Reed-iana per il freddo, annoiato e metallico incedere (nonchalance più cinismo), si impose come una delle più caratteristiche degli anni '80, un canto psicotico che accoppiava una flemma ipnotizzante a raffiche corrosive di disperazione in performance psicologiche d'alta classe. Vega si sublima nell'immane Viet Vet (tredici minuti), uno psicodramma alla Jim Morrison che inveisce contro i valori Americani dall'altro di un blues moribondo costellato di rumori e distorsioni di chitarra.

Il terzo album, Saturn Strip (Ze, 1983), impiegando un'orchestrazione di più ampio respiro, approda a una fusione di disco music e rockabilly (Video Babe, Saturn Strip) con sovratoni alla Velvet Underground (American Dreamer). L'album lo riconcilia con il pubblico, ma in realta` perde la grinta luciferina che lo aveva contraddistinto.
Ermetico e gotico, il suo stile rimane il più autentico discendente dei deliri dei Suicide.

Alan Vega e Martin Rev si riuniscono una prima volta per A Way Of Life (Chapter 22, 1988 - Wax Trax, 1989), e riescono persino

Servirono altri tre anni prima che il duo ritorni con quello che è, alla fine dei conti, soltanto il quarto album in sedici anni di esistenza: Why Be Blue (Enemy, 1992). Pur senza l'abrasiva violenza dell'esordio, e con qualche caduta nella discomusic, alcuni brani rinverdiscono il minimalismo maniacale (soprattutto Pump It) e l'elettrizzante "talking blues" (la title-track, con fare da imbonitore) dei loro esordi. Divenuti maestri nel comporre (Cheat-Cheat) atmosfere grigie, depresse, fatali, traboccanti di spleen, i Suicide non sfruttano pero` fino in fondo quella dote. Alan Vega conserva doti uniche di "storyteller" nevrotico e ironico, suadente e sibillino (nel girotondo di Last Time), ma si accontenta della parte di intrattenitore da nightclub.

Dopo l'antologia Vega (Celluloid, 1989), la carriera solista di Alan Vega era intanto proseguita con Deuce Avenue (Musidisc, 1990). Accompagnato soltanto da Liz Lamere alle "macchine", Vega ripete testardamente i numeri che l'hanno reso celebre cambiando loro titolo: Be Bop Jive, Deuce Avenue e La La Bola.

Ma Vega era sempre più attratto da altre forme artistiche: nel 1990 era uscito il suo primo libro di fotografia, "Deuce Avenue War" e l'anno dopo gli fece seguito un libro di prosa e poesia, "Cripple Nation".

Distratto e demotivato, Vega registra poco e male. Power On to Zero Hour (1991) e New Raceion (1995) sono forse i suoi dischi peggiori.

Ci vogliono due anni prima che esca l'album registrato nel 1994 con Alex Chilton e Ben Vaughn, Cubist Blues (Thirsty Ear, 1996).

Con Dujang Prang (1996) Vega rinasce di colpo. Ha scoperto un sound terrificante e si è buttato anima e corpo, come un vampiro, sulle sue canzoni. Invece degli strumenti rock, Vega opta interamente per l'elettronica moderna, ma lo fa con lo stesso spirito ribelle delle origini, anzi con uno spirito che è degno del punk-rock. Hammered, Life Ain't Life, Big Daddy Stat's Livin' On Tron e così via non valgono molto come composizioni, ma l'esecuzione è micidiale. Quando è in forma, Vega ha pochi rivali al mondo.

Rev intanto spreca il suo talento registrando un tributo al doo-wop e ai girl-group, See Me Ridin' (ROIR, 1996).

Vega completa la sua rinascita artistica registrando con Ilpo Vaisanen e Mike Vainio dei Pan Sonic due dischi a nome VVV: Endless (Blast First, 1998) e Resurrection River (Mego, 2005).

Per qualche ragione la critica ha sempre ritenuto che i Suicide non dovessero fare un altro album e si è risentita ogni volta che Vega e Rev hanno violato quel tabù. Eppure tutto si può dire di questo duo a parte il fatto di avere intasato gli scaffali di dischi. Tutto si può dire di loro ma non che si siano "svenduti" alle major, come molti loro (ingrati) discepoli stanno facendo.


(Tradotto da Stefano Iardella)

In realtà, la musica dei Suicide non è cambiata dagli esordi. Oggi, come negli anni '70 e '80, i Suicide esprimono attraverso il rock elettronico l'angoscia di vivere, l'alienazione e la nevrosi dell'uomo metropolitano. Il loro lavoro è importante nella storia del rock perché dimostra il fatto che nell'usare l'elettronica non sia cambiato "nulla" rispetto agli esordi. Oggi, come allora, i Suicide esprimono attraverso il rock elettronico l'angoscia di vivere, l'alienazione e la nevrosi dell'uomo metropolitano. Il loro lavoro è importante nella storia del rock perché ha creato un precedente sull'uso dell'elettronica per i non-pittori e i futuristi.


(Tradotto da Walter Romano, completato da Stefano Iardella)

A sorpresa, la mossa successiva di Martin Rev fu Strangeworld (2000), una raccolta di strazianti ballate.

Il duo si riunì per American Supreme (2002), che riunisce techno, percussioni hip-pop, improvvisazioni vorticose, bassi funk, chitarre metal e tastiere recuperate al loro uso originario. C’è un che di lugubre che ricorda il loro primo album, anche se le canzoni vennero composte dopo l’11 settembre e a volte si rifanno a esso. Non è una semplice reunion: questi sono altri Suicide. Sembrano diversi, e sono diversi. Niente rockabilly spettrali e niente shock elettronici. Al loro posto, un deserto di ritmi sincopati e un miasma vorticoso di suoni distorti, e, nel cuore dell’album, una voce messianica nella tradizione di Jim Morrison, Lou Reed Nick Cave.

Lo spettro d’influenze stilistiche è gigantesco: techno (Death Machine), digital charleston (Begging for Miracles), hip hop (Wrong Decisions), house (American Mean), reggae (Damn Rain Damn Train) e funk alla Prince (Child It's a New World).
Le emozioni che suscita sono molto più articolate rispetto all’album precedente. Perlopiù si ha un senso d’impotenza, espresso al meglio nell’atmosfera noir di Televised Executions (funk, scratching) e di Swearing at the Flag (altro vertice).
A tratti si trasforma in disperazione, come nel devastante psicodramma di Dachau Disney Disco (in cui i Throbbing Gristle s’incrociano coi Pop Group). E, almeno una volta, si avverte davvero la sensazione sovrumana di cosa voglia dire essere vivi su questo pianeta in quest’epoca: Child It's a New World. La delusione principale è la voce di Vega, che non è più l'icona terrificante di un tempo. Persino Billy Idol riesce a imitare Alan Vega meglio di Vega stesso.

To Live (2003) di Martin Rev mantiene i ritmi cibernetici degni del Billy Idol di To Live prima di finire nella palude del synth-pop.


(Tradotto da Alessandro Capuano, modificato da Stefano Iardella)

Station (Blast First, 2007), di Alan Vega, sembra finalmente ricreare lo spirito (se non la lettera) dello straziante rumore elettronico del primo album dei Suicide. Tuttavia quel sentimento di paura è trasposto dall'alienazione del singolo individuo all'intera società, la società del mondo dopo l'11 settembre, ancora traumatizzata dagli attacchi terroristici di Al Qaeda e dall'invasione dell'Iraq da parte degli Stati Uniti di George W. Bush. Il giorvane alienato è diventato un alienato adulto, mentre indaga la psiche collettiva in Freedom's Smashed, Psychopatha e Devastated. Tutti i brani sono lunghi tra i cinque e i dieci minuti, solo uno più corto e nessuno più lungo, come se Vega avesse finalmente trovato il formato perfetto per la sua musica.


(Tradotto da Niccolò Bargellini, modificato da Stefano Iardella)

Martin Rev pubblica Les Nymphes (File 13, 2008) e Stigmata (Blast First Petite, 2009), entrambi collezioni di vignette digitali. L'ultimo è una messa da requiem per sua moglie, suonato su scadenti tastiere elettroniche invece che su un organo da chiesa.

Nel 2012, Vega accusa un infarto.
Nel 2016, Vega esibisce i suoi ritratti di figure senza identità a New York.

L'ultimo album di Alan Vega, IT (2017), è di fatto una collezione di poesia e rumore. Vega recita i suoi versi contro i beat da robotica catena di montaggio di DTM, sotto la pioggia radioattiva in Dukes God Bar, nella tempesta chitarristica di Vision, al di sopra della dance industriale di IT, nel ronzante e percussivo tornado di Screaming Jesus, nel distorto inferno pulsante di Motorcycle Explodes, e sotto una doccia di violenti segnali alieni in Stars. I panorami sono tutti sinistri e al limite dell'apocalittico.

Alan Vega è morto nel 2016, all'età di 78 anni.


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