- Dalla pagina su Sinead O'Connor di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)
In breve:
L'irlandese Sinéad O'Connor (Dublino, 1966), una delle donne più televisive del suo tempo, incanalò la rabbia punk in un melisma acrobatico fatto di urla glaciali e assassine e di sussulti infantili e gutturali. Il suo stile fondeva canti gregoriani, spiritual afroamericani, ballate celtiche, litanie mediorientali e gli esperimenti di Meredith Monk sulla voce umana. Nel frattempo, divenne un'icona di ribellione asessuata (in contrapposizione a quella sessuale di Madonna). Questa personalità schizoide fu alimentata, su The Lion And The Cobra (1987), da riff hard-rock, elettronica discordante, arrangiamenti neoclassici, groove funk e tremori hip-hop, che esprimevano appieno l'impatto dei suoi traumi. La veemenza sconvolgente, epica e articolata di quel debutto venne persa con I Do Not Want What I Haven't Got (1990), che tornava alla musica soul-pop sofisticata (come Nothing Compares 2U di Prince).
Bio:
Alla fine degli anni '80 la giovanissima irlandese Sinead O'Connor (1966) venne
prepotentemente alla ribalta di un'asfittica scena di cantautori.
O'Connor, con il suo piglio rabbiosamente punk e un tocco di
struggente romanticismo, impresse un'accelerazione spettacolare a tutto un
genere. Il suo personaggio fece epoca: O'Connor si era di fatto
"de-sessualizzata", rasandosi il capo, annullando il sex appeal dei suoi
occhi da gatta e urlando come un'ossessa. Non c'era molto di femminile nel
suo atteggiamento pubblico o nel suo stile di canto.
La sua sgraziata intensità si ricollegava semmai agli "urlatori" blues
degli anni '50, ma con un tono freddo e sarcastico che era parente semmai dei
terroristi delle Baader Meinhof non delle piantagioni del Mississippi.
Proprio in questo O'Connor ruppe con la tradizione.
Nell'arco degli anni O'Connor è però raramente riuscita a giustificare artisticamente la sua fama.
Teenager ribelle, venne rinchiusa in un riformatorio di Dublino dove l'unico modo di tenerla calma era di lasciarle suonare la chitarra. Scoperta dai discografici, rifiutò un produttore professionale e produsse da se il primo album.
O'Connor si presentò precocissima, a vent'anni, con un album intenso e
rivoluzionario come The Lion And The Cobra (Chrysalis, 1987), il cui
shock maggiore è il suo registro vocale: O'Connor si diverte a fare cose
con la sua voce che stonerebbero (letteralmente) nella gola delle altre
cantanti. I suoi improvvisi acuti gutturali riescono invece a suonare
non solo armoniosi ma anche trascinanti, riescono a convogliare proprio
le intense emozioni delle sue liriche.
Conscia del suo talento, O'Connor non si limita a cantare canzoni.
I suoi acrobatici vocalizzi sposano la liturgia gregoriana,
il canto "nero", la ballata celtica e le litanie mediorentiali con gli
esperimenti canori di
Meredith Monk e
Laurie Anderson.
Il disco vive, insomma, della sua fortissima personalità musicale, più ancora
di quanto viva degli arrangiamenti lambiccati, dei riff di hard-rock
e dei ritmi esotici e tecnologici.
Forte di tanta forza espressiva, il disco affresca un universo magico e
fiabesco.
O'Connor scorrazza per canzoni rock trascinanti come Mandinka;
innesta linee funky e percussioni africane nel ballabile
epico e spaziale di Jerusalem;
si distende anche in tenere e marziali filastrocche celtiche come
Just Like You Said (arrangiata in maniera classicheggiante con fisarmonica,
clavicembalo e flauti).
Gli esperimenti di Laurie Anderson ispirano canti liberi
come Never Get Old
(con sovraincisioni di cori e ritmo di tamburi lontani),
e il funk d'avanguardia di Peter Gabriel le ispira I Want Your
(un trip-hop ante litteram con basso dub e canto soul).
O'Connor si consente persino il lusso di declamare l'alto dramma greco di
Troy sullo sfondo di un'orchestra sinfonica.
Capace di inerpicarsi in epici acuti, di sprofondare in lamenti struggenti e
e di distendersi in bisbigli innamorati, la voce di O'Connor è una delle più
duttili ed espressive della storia del rock.
La musicista la esalta immergendola in canzoni violente
e articolare (influenzate dalle fratture armoniche dell'hip-hop) che sono
l'esatto opposto della tradizionale ballata per folk-singer e assomigliano
più ad allucinati psicodrammi. Il suo tragico ululato lacera la musica in
atroci confessioni di dolore, vulnerabilità e solitudine.
Nel frattempo era rimasta incinta del batterista, John Reynolds, e qualche settimana dopo l'uscita del disco partorì il primo figlio.
O'Connor aveva però esaurito con quell'opera di rottura quasi tutto ciò
che aveva da dire.
I violenti psicodrammi di quell'opera scompaiono del tutto dal successivo
I Do Not Want What I Haven't Got (Chrysalis, 1990).
Nothing Compares, una canzone di Prince, che lei rese con
disperata malinconia amorosa, le vale la stardom internazionale.
Il resto dell'album è quasi un
tributo alla musica pop del passato: invece delle frenesie sismiche dell'hip-hop
o dei sottofondo elettronici, fanno capolino sezioni d'archi e cori.
Quel che è peggio, il suo registro di canto, appianate tutte le spigolosità
dei suoi acuti dissonanti, è diventato un vellutato bisbiglio da cocktail
lounge. La produzione (di sua mano) è sofisticatissima e trasforma ogni
canzone in un piacevolissimo esercizio di kitsch, ma nulla più.
Il tema dell'album sembra essere una precoce insicurezza sentimentale
(invece della ribellione strafottente dell'album precedente).
Le sue liriche
pre-femministe definiscono la sua individualità sempre in rapporto all'uomo
(o all'assenza dell'uomo).
Le accorate litanie di Feel So Different e 3 Babies, appena bisbigliate in
una brezza orchestrale, fanno pensare a un incrocio fra lo Springsteen più
contrito e l'Enya più crepuscolare.
La qualità trascendente di questo nuovo stile di canto è quasi l'opposto
dell'esuberante e veemente "corporalità" degli esordi.
Il forte incedere rhythm and blues di I Am Stretched On Your Grave
non viene sfruttato per uno dei suoi voli surreali, bensì per una cantilena
tanto soffusa e così poco modulata da sembrare un mantra o un requiem.
Le liriche sono personali al punto da diventare imbarazzanti.
In queste vesti di signora raffinata, invece che di ragazzaccia irriverente,
O'Connor si deve però sentire un pò stretta. Tant'è che
in The Emperor's New Clothes la cantante irlandese trova anche un ritornello
e una cadenza impeccabilmente powerpop e
in Jump In The River prova a imitare anche il registro sensuale di Chrissie
Hynde e l'andatura rock and roll dei Pretenders.
O'Connor diventa una celebrità internazionale cantando la Nothing Compares 2U
di Prince, un'interpretazione che trasforma in moneta sonante il suo cronico
stato di prostrazione. La classe della cantante
non è scomparsa, anche se è quasi tenuta nascosta: è la musicista che
deve calibrare meglio il tiro.
I suoi atteggiamenti provocatori (o forse soltanto immaturi) la portano per coerenza al disco che nessuno si aspettava, Am I Not Your Girl (1992), una raccolta di cover di brani tratti (per lo più) dal repertorio della musica leggera; per di più con l'accompagnamento di una piccola orchestra da balera degli anni '50. In realtà è la logica conseguenza del suo nuovo ego: O'Connor è innanzitutto un'interprete, una grande interprete nella tradizione delle chanteuse di cabaret. In fondo non sono troppi i boudoir che la separano da Madonna. Ciò che la separa da Madonna è semmai l'emotività, quel tremito di vita (talvolta impercettibile, ma sempre presente) che riesce ad immettere sempre e comunque anche nelle canzoni più piatte.
Si è placata l'ira, ma non il suo bisogno di psicoterapia pubblica. Fire On Babylon è emblematica dell'intero Universal Mother (1994): O'Connor usa se stessa, bambina abusata e abbandonata dai genitori, come metafora per tutti i mali del mondo, dalle tragedie dell'Irlanda (nel rap di Famine) ai crudeli dogmi della chiesa cattolica. La cantilena rinascimentale di John I Love You, arrangiata per orchestra da camera e percussioni giapponesi, è il brano più ardito. Gli altri fanno di quest'album il più spartano della sua carriera.
Nel 1995 O'Connor ebbe la figlia Rosie dal giornalista John Waters.
L'EP Gospel Oak (Chrysalis, 1997) interrompe il silenzio dovuto alla nascita del secondo figlio con un pugno di confessioni molto personali che alternano rabbia a dolore, supplica a desiderio. La soffice This Is To Mother You (con un arrangiamento barocco, reminescente di Enya) e la marziale 4 My Love (con fisarmonica e chitarra spagnoleggiante) non aggiungono comunque nulla di significativo al suo repertorio.
E' curioso avere l'impressione di una sorta di continuo ripudio di se stessa: di disco in disco O'Connor si sta probabilmente allontanando da ciò che vorrebbe davvero cantare, esattamente come giorno dopo giorno rifiuta di lasciarsi crescere i capelli e diventare la bella ragazza che potrebbe (e forse vorrebbe) essere. In questo rito sacrificale O'Connor consuma le sue frustrazioni e insicurezze. In questo bagno catartico rivela la sua vera identità: è una maschera, non un'anima. In questo tributo alla sua infanzia, anzi al mondo prima della sua infanzia, celebra l'innocenza che perse appena nata, celebra l'ego che non le fu dato e che può intravedere soltanto nelle vestigia altrui.
La sua testarda e capricciosa indipendenza, la sua
scostante e imprevedibile personalità (che non ha in realtà mai abbandonato
le strade) ne fanno un punto di riferimento "politico".
Ma, musicalmente, il risultato è che nessuno dei suoi dischi resisterebbe a un
ascolto imparziale, che non sia influenzato dalla sua immagine pubblica.
Nel 1999 Sinead O'Connor fu proclamata sacerdotessa da un ramo non ortodosso del Cristianesimo.
Faith And Courage (Atlantic, 2000) potrebbe essere il miglior album di O'Connor dall'anno del suo debutto. Emotivamente, O'Connor ritrova la pulsazione dell'inno della giovane donna arrabbiata (No Man's Woman, Daddy I'm Fine). Dal punto di vista sonoro, spazia dal dub (per gentile concessione del guru del reggae Adrian Sherwood), all'ambient (Brian Eno) e all'hip hop (Wyclef Jean). The Healing Room stabilisce il ritmo per una rinascita davvero catartica. Anche Jealous (la ballata romantica obbligatoria della diva pop che cantava Nothing Compares To You) suona più O'Connor-iana di qualsiasi cosa lei abbia scritto da quando è entrata nelle classifiche di vendita.
Se il grido viscerale di The Lion And The Cobra non potrà tornare mai più, questo è il meglio che una donna adulta possa fare per avvicinarvisi. Sinead O'Connor scrive i testi e canta. La maggior parte della musica è scritta in collaborazione con un affollato team di produttori e quantità non significa necessariamente qualità.
Su Sean-Nos Nua (Vanguard, 2002) Sinead O'Connor esegue brani tradizionali irlandesi. Una serata con Fidel Castro sarebbe più divertente.
Nel 2004 O'Connor ha avuto il suo terzo figlio, Shane, dal cantante Donal Lunny.
All'inizio del 2004 aveva divorziato dal giornalista Nicholas Summerland, con cui era sposata dal 2001.
Collaborations (Capitol, 2005) raccoglie le sue collaborazioni con Massive Attack, Peter Gabriel, Bono, Moby, Bomb the Bass, Asian Dub Foundation, Jah Wobble, ecc.
Throw Down Your Arms (Chocolate And Vanilla, 2005) contiene solo cover reggae.
Nel 2005 Sinead O'Connor dichiarò: “Sono per 3/4 eterosessuale e per 1/4 gay”.
Nel dicembre 2006 ha avuto il suo quarto figlio, Yeshua, dall'imprenditore Frank Bonadio.
Il doppio disco Theology (2007) contiene sia la versione acustica sia quella per banda delle stesse canzoni. Ahimè, il materiale è il peggiore della sua carriera.
Nel 2010 divorziò da Steve Cooney dopo che lo aveva sposato da circa otto mesi.
Nel 2011 divorziò da Barry Herridge dopo che lo aveva sposato da meno di un mese.
Tentò il suicidio nel gennaio 2012.
How About I Be Me (2012) ha successo soprattutto quando si attiene a questioni altamente personali, come nella danza sincopata di Bollywood 4th and Vine. Cerca disperatamente di sembrare ancora blasfema (e attuale) con l'anti-inno gospel per lo più vocale Take Off Your Shoes. Poco altro risulta degno di nota.
I'm Not Bossy, I'm The Boss (2014) avrebbe potuto candidarsi al titolo di peggior album dell'anno.
Il singolo Milestones (2018) è stata la sua prima pubblicazione in quattro anni.
Il suo declino mentale sembrava progredire parallelamente al suo declino musicale. Nel 2018 Sinead O'Connor si è convertita all'Islam e ha cambiato il suo nome in Shuhada' Davitt, forse un disperato tentativo di attirare una certa attenzione mediatica.
Suo figlio Shane, di cui O'Connor aveva perso la custodia da quasi dieci anni, si è suicidato nel gennaio 2022, all'età di 17 anni.
Sinead O'Connor è morta nella sua casa di Londra nel 2023, all'età di 56 anni, dopo aver combattuto a lungo con una malattia mentale e contro la depressione.
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