- Dalla pagina su Weyes Blood di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)
La cantautrice Weyes
Blood, pseudonimo di
Natalie Mering (Santa Monica, 1988), originaria
dell’Oregon e precedentemente
conosciuta come Weyes
Bluhd quando registrò
Strange Chalices of Seeing (2007), realizzò
l’album The Outside Room (Not Not Fun, 2011),
composto da sei
canzoni freak folk nello
stile di Devendra
Banhart e Sufjan Stevens ma con
i toni solenni
e ritualistici di
Nico.
Lo spettro
di Nico è particolarmente
presente in Storms That Breed, nonostante
la canzone sia immersa
nella cacofonia
nevrotica che caratterizza
l’intero album. Talvolta la Mering rievoca
anche Enya,
specialmente nella
sospesa, disintegrante
ninna nanna Dream Song e
nell’avvilente elegia folk
Romneydale, da sette
minuti. La dissonanza
che è alla base
dei sei brani
diventa angosciosa su In
the Isle of Agnitio,
il cui noise elettronico
si avvicina alla
musique concrète.
Tutto si fonde
in Candyboy, dalla
durata di nove
minuti, una
sorta di antico
canto funebre con tastiere
da drone music e percussioni
noise, con un assolo di
organo che irradia
scintille allucinogene,
come una versione
distorta di Rainbow in Curved Air
di Terry Riley. L’album
si chiude con un
altro canto gotico
marziale, His Song, penetrato
da droni in stile industrial.
Sorprendentemente,
si reinventò come
una cantautrice folk molto
più convenzionale su The
Innocents (Mexican Summer, 2014), una
collezione di brani
più corti e
vivaci, che si muovono
tra il semplice
folk rock celtico di Land
of Broken Dreams e la vivace ed
orecchiabile Ashes, passando
per l’ancor più
semplice ninna
nanna Summer, chiudendosi con
un’altra danza in stile
celtico, Bound to Earth. L’aspetto
più serio della sua
musica permane
nell’austera aria Some Winters, à la Enya
(nonostante un isterico
accompagnamento al piano), e nell’inno
da convento Requiem for
Forgiveness (con echi ed
astratti accompagnamenti
da camera). Alcuni
brani sono positivamente
tediosi (Hang On, Bad Magic) e avrebbero
potuto essere
omessi per realizzare
un più gradevole
EP di sole quattro
canzoni.
La Mering
prova troppo a dare
enfasi ai testi,
che però non sono il suo
forte. Nel complesso,
paragonato alla
magica atmosfera
dell’album precedente,
questo seguito
sembra un tradimento.
Le turbolente
dissonanze e i
droni spiazzanti sono andati perduti.
Ciò che
rimane è una
cantautrice mediocre.
L’EP da quattro canzoni Cardamom Times (2015) contiene Cardamom Times, nello stile di Joanna Newsom, e l’ambient folk di In the Beginning.
La sua evoluzione
verso una più
tradizionale e meglio
arrangiata struttura
delle canzoni continuò
su Front Row Seat to Earth (2016), in gran parte
prodotto da Jonathan Rado.
Questi trasforma
l’aria classicheggiante Diary in
musica lounge con
batterie elettroniche e aggiunge
un ritmo magniloquente à la
Phil Spector alla
marziale elegia al pianoforte Used to
Be. Un tempo marziale sospinge
anche la delicata
meditazione Do You Need My Love ?.
Egli aggiunge un
ritmo caraibico
alla vibrante Away Above, in stile Joni Mitchell.
Be Free evoca le
dolci ballate
di Burt Bacharach e le sognanti
canzoni dei teen idol
degli anni '50.
Melodie dolci
ed eleganti come Seven Words
trasmettono chiaramente
una sensazione vintage, come se
fossero vecchie hit
degli anni '60.
A parte gli echi della maniera
“oceanica” di
Enya in Generation Why, questa è
una collezione
di semplici canzoni
folk pop. Un album piacevole,
con una voce maggiormente
curata rispetto
alla media, ma si
tratta di una
musicista diversa
rispetto alla Weyes Blood del 2011,
una cantautrice che appartiene
alla musica pop elaborata del mondo degli Elton John e
delle Carole King.
Si spostò decisamente
nel territorio
di Burt Bacharach con le calme
ballate di Titanic Rising (Sub
Pop, 2019), come A Lot’s Gonna Change e Wild Time.
Andromeda e Something to Believe sono
convenzionali elegie in stile
country. Troppe litanie si
susseguono senza la minima
variazione. Per
fortuna, vi sono
delle eccezioni.
L’apice del divertimento è
Everyday, una canzonetta
che ricorda
il bubblegum pop di Tommy Roe.
L’apice del pathos e
delle acrobazie
vocali è l’elevato e
maestoso inno Movies (rovinato da una
grottesca seconda
metà che riprende
la melodia in
maniera magniloquente),
seguito dalla più
delicata ed
orecchiabile Mirror Forever (trasformata
in un canto funebre dai
suoi esorbitanti
arrangiamenti). Nelle
vesti di una
diva pop à la Dionne Warwick, la Mering vale molto
meno di quando era un elfo psichedelico.
And In the Darkness Hearts Aglow (2022) è il suo album di Joni Mitchell, la controparte meditativa della calligrafia barocca di Titanic Rising, un raccolta di canzoni prolisse che non si evolvono tanto ma crescono e maturano man mano che procedono, spesso attraverso crescendo sottili ma costanti di archi e/o voci e/o tastiere. Tuttavia, le melodie più calde e la produzione impeccabile la differenziano dal tono intellettuale di una Joni Mitchell. La canzone malata d'amore di Hearts Aglow impiega il clavicembalo e un coro per coronare il pathos di una canzone che era iniziata solo con voce e chitarra. It's Not Just Me It's Everybody è un lamento country mascherato da pop orchestrale sussurrato, che emerge da una foschia in tonalità seppia, in stile Laura Nyro.
Alla fine, la maestosa e barocca Grapevine suona come una collaborazione tra King Crimson e Neil Young. La parabola filosofica di God Turn Me Into a Flower, scolpita dagli Oneohtrix Point Never, è una eterea ode in stile Enya, sospesa in un'altra dimensione.
La canzoncina oscillante in stile Phil Spector Children of the Empire evoca Linda Ronstadt alla guida dei Fleetwood Mac. Il lato negativo è che Twin Flame è una pessima imitazione del synth-pop anni '80, spinta da un beat-box vintage, mentre The Worst Is Done è una banale litania country-pop con un ritmo da discoteca.
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